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I problemi di sussistenza del ghetto.

Nella concezione nazista del ghetto, la segregazione occupa un posto fondamentale.
I contatti personali oltre i cancelli del ghetto sono severamente ridotti, o completamente vietati. I legami materiali con l’esterno sono essenziali: una banca, un ufficio postale ed alcune linee telefoniche.
Anche nel quartiere ebraico più esteso, essi non si trovano mai a più di qualche minuto di cammino da un muro o da una barriera. Di giorno continuano a portare la stella gialla e la sera, dopo il coprifuoco, devono rimanere chiusi nelle loro case. Possiamo tranquillamente affermare che gli abitanti del ghetto sono fisicamente prigionieri.

Con l’istituzione del ghetto, i tedeschi raggiungono l’obbiettivo di sbarazzarsi della gestione amministrativa degli ebrei, facendola ricadere sulla comunità ebraica e su i Consigli ebraici.

Inoltre, almeno inizialmente i tedeschi non si preoccupano del problema della sussistenza alimentare del ghetto. Probabilmente nel 1940-41 nessuno dei dirigenti nazisti pensa che i ghetti possano durare anni.

Dopo l’esperienza della costituzione del ghetto di Lodz nell’aprile 1940, i nazisti capiscono immediatamente che il problema della sopravvivenza degli abitanti dei ghetti è reale. Depredati dei loro beni e delle attività produttive, segregati nel ghetto, essi dipendono esclusivamente dal mondo esterno. Per questo motivo i tedeschi individuano immediatamente la “soluzione” forniranno cibo in cambio di lavoro.

Lavoro coatto
Uomini ebrei eseguono lavori forzati scavando sul ciglio di una strada a Debrecen.

Il cibo come arma di controllo.

Il lavoro degli ebrei è ovviamente sottopagato: il salario quotidiano di un lavoratore ebreo nelle officine tedesche è di 2 sloty e un chilo di pane ne costa 27 nel giugno del 1941.

Pur di sopravvivere gli abitanti del ghetto danno fondo alle poche ricchezze rimaste, ma ovviamente chi possiede qualcosa è una minoranza. La maggioranza non ha nulla e la fame nei ghetti aumenta continuamente.
Nel tentativo di riequilibrare questa situazione i dirigenti dei ghetti impongono tasse: sulle razioni di pane, sulle persone esentate dal lavoro, sugli affitti, sui funerali, ecc.
E’ il loro infelice tentativo di ridistribuire le ricchezze rimaste.

Dall’altra parte, i tedeschi consegnano il cibo agli Judenrat che a loro volta lo ripartiscono. In questo passaggio le ineguaglianze si moltiplicano.
E’ una disperata lotta per la sopravvivenza e in questa lotta a vincere sono i funzionari degli Judenrat, i poliziotti della polizia ebraica e chiunque possiede denaro.
Il cibo, infatti, non viene distribuito gratuitamente, ma razionato e a pagamento. Chi non ha un lavoro non ha in cambio cibo ed è destinato alla morte.

Gli ebrei non devono uscire vivi dal ghetto.

Qualsiasi tentativo di ridistribuzione della ricchezza, da parte dei Consigli ebraici, risulta vano e i ghetti sono sempre in deficit.
Lo sanno bene anche i tedeschi, che dosano con rigorosa precisione gli aiuti alimentari e materiali ai Consigli Ebraici, nella convinzione di riuscire a mantenere in equilibrio l’ordine e la sopravvivenza nel ghetto.

In realtà per i tedeschi gli ebrei non devono uscire vivi dal ghetto.
Il loro unico scopo è massimizzare lo sfruttamento della manodopera a buon mercato e con un lento stillicidio annientare tutta la popolazione ebraica dei ghetti.

In maniera sistematica i tedeschi confiscano i beni ebraici, proibiscono l’importazione di generi alimentari e infine consegnano la forza lavoro ebraica nelle mani di industriali che pagano somme irrisorie rispetto ai veri salari dell’epoca.

Il risultato finale è la fame nei ghetti. Una fame continua e lacerante che prima favorisce l’insorgere di tutta una serie di malattie, e poi conduce alla morte i più deboli: gli anziani e i bambini.

Ghetto fame
Polonia, Ghetto di Varsavia. Bambini seduti davanti alla vetrina con il cartello “Prodotti propri. Confetteria” – fonte Bundesarchiv

La fame nei ghetti è pianificata

Nel 1941, la razione ufficiale di un ebreo del ghetto corrisponde al 7,5% di quella normale, cioè meno di 200 calorie. Quella quotidiana di pane, nello stesso anno, oscilla tra i 70 e i 250 grammi .
Mentre i salari del Governatorato generale raddoppiano i prezzi degli alimenti aumentano di 27 volte.
Il costo del pane sul mercato nero ad aprile del 1941 è di 7 sloty al kg. e passa a 27 sloty nel mese di giugno: il salario quotidiano di un lavoratore ebreo è di 2 sloty.

L’approvvigionamento è scientificamente mirato per aumentare la fame nei ghetti. Nel ghetto di Minsk, alla fine di agosto del 1941, la razione settimanale di pane è di 875 g. e di 100 g. di farina a persona.

Da ciò deriva un anomalo tasso di mortalità per malattie legate alla sottoalimentazione, come il rachitismo, l’indebolimento osseo, la necrosi dei tessuti, edemi e diarree che portano alla morte. A questi vanno aggiunti la cecità notturna, la pellagra, l’anemia, i disordini neurologici e l’amenorrea (l’80% delle donne del ghetto ne sono afflitte).

Prima della guerra, presso la comunità ebraica di Lodz, la mortalità era dello 0,96%. Questa sale a 7,57% nel 1941 e al 15,98% nel 1942 (escludendo le deportazioni). Fra il 1940 e il 1944, quasi 50.000 reclusi del ghetto muoiono per inedia, freddo e malattie.

18 Settembre 1942 Ministro del Reich per l’Alimentazione e l’Agricoltura Herbert Backe firma il “Decreto per il razionamento alimentare per gli Ebrei” con questo atto giuridico si sancisce per legge la morte per fame nei ghetti.

Ghetto malattie
Polonia, Ghetto di Varsavia. – Ragazzo che guarda attraverso una finestra di vetro rotonda di una porta, sopra un cartello “Tifo. L’entrata e l’uscita è severamente vietata” – fonte Bundesarchiv

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